Lo straordinario Sito
Archeologico Nuragico di Su Pallosu
La
spiaggia dei gatti e la Colonia Felina di Su Pallosu hanno almeno una
seconda particolarità. Sono infatti uno dei rarissimi siti
archeologici nuragici che si trovano sotto la sabbia di una spiaggia
della Sardegna.
Un
abbinamento incredibilmente, singolare, che merita dunque una doppia
attenta valorizzazione: naturale e archeologica.
Attraverso
il FAI (Censimento Luoghi del Cuore) e la Soprintendenza ai Beni
Archeologici proponiamo di realizzare un'adeguata segnaletica,
cartellonistica di valorizzazione del sito archeologico. Attraverso
pannelli in loco su area demaniale e privata possono arricchire le
visite guidate gratuite già in corso da anni.
La
nostra Associazione da sempre collabora proficuamente con la
Soprintendenza e il Capo Mannu Project che ha guidato le ricerche.
Per cercarne di capire l'enorme valenza archeologica del sito
postiamo qui alcune note descrittive scritte per noi proprio
dall'archeologo che più di tutti si è occupato di Su Pallosu, in
ben quattro ricerche degli anni 2006-2007-2012-2013, Giandaniele
Castangia, che ringraziamo.
Associazione Culturale
Amici di Su Pallosu
La
Preistoria del Capo Mannu
L’area
del Capo Mannu, in cui si trova il sito di Su Pallosu, riveste un
grande interesse archeologico per la presenza di un denso tessuto di
insediamenti umani che ha caratterizzato la regione da epoca
preistorica fino al Medioevo. Proprio nella cala di Su Pallosu il
geografo egiziano Claudio Tolomeo collocava uno scalo marittimo, noto
in epoca romana come Korakodes
portus
- in greco Korakodes
limèn,
che avrebbe rivestito un ruolo di rilievo nell’economia regionale
della zona e che la cui esistenza è testimoniata dalla presenza di
numerosi
relitti sottomarini nell’area della cala, quasi tutti databili ad
età romana o tardoantica (III a.C. – V d.C). Questo scalo è
l’unico in grado di offrire riparo ad un numero rilevante di
navigli dal Golfo di Oristano a sud fino a Bosa e alle foci del Temo
a nord.
La
zona è molto ricca di una risorsa preziosa, il sale,
essenziale da un lato per una serie di attività legate alla
preparazione e conservazione del cibo, e commerciabile dall’altro.
Sappiamo per certo che la sua estrazione dagli stagni retrostanti le
dune sabbiose della cala (Sa Salina Manna in particolare) è
documentata a partire almeno dal XII sec. d.C., quando il diritto di
pesca e raccolta di sale nella regione fu dato da Barisone Giudice di
Arborea ai monaci Benedettini. Il Prof. Raimondo Zucca ha a ragione
considerato l’ipotesi che il nome antico di Korakodes
possa
essere riferibile a eventuali produzioni alimentari associate proprio
al sale, come quella di particolari salsamenta,
chiamate in Egitto korakìdia
poiché ottenute dal pesce kòrakos
- che
potrebbe aver ragionevolmente dato il nome all’area in questione.
Piccole
comunità umane occuparono la regione sin da epoca neolitica, più
precisamente dal 4000 a.C. circa. Queste comunità si stabilirono
sulle poche alture dell’area (Monte Benei, San Lorenzo), di solito
situate di fronte ai piccoli stagni, e costruivano le loro tombe
familiari scavandole nella roccia (Domus de Janas di Sa Rocca Tunda e
Putzu Idu). Le ricerche in corso sembrerebbero indicare che
producevano i loro utensili in pietra utilizzando materiali
provenienti dalla zona di Porto Alabe (selce), del Montiferru
(fonolite) e naturalmente del Monte Arci (ossidiana). Erano quindi
comunità inserite in un sistema di scambi locali e regionali, via
terra e via mare, di una certa complessità.
La
vita di queste comunità rimase pressoché immutata fino al III
millennio a.C. (3000-2000 a.C.), quando - archeologicamente - se ne
perdono le tracce. Nelle Domus de Janas di Sa Rocca Tunda sono stati
rinvenuti dei vasi di carattere funerario riferibili ai secoli
immediatamente successivi, ma i luoghi in cui questi defunti
effettivamente conducessero la loro vita non ci sono ancora noti.
A
partire dal 1600 a.C. comincia il periodo che possiamo definire
culturalmente Nuragico.
Nuovi modi di vita, nuove idee e concezioni del mondo sono evidenti
nel dato archeologico. Nell’area del Capo Mannu vero e proprio non
vengono costruiti nuraghi, essi sono edificati leggermente più
all’interno alle spalle della spiaggia di Sa Rocca Tunda (Spinarba,
Su Conventu, S’Omu) e sullo stagno di Sa ‘e Procus (Abilis).
L’unica prova convincente della presenza di un insediamento
nell’area è della ceramica proveniente sito di Su Pallosu.
Quest’ultimo poi – o parte di esso – sembrerebbe trasformarsi
in un’area di deposizione rituale di ceramiche dal 1400 al 1200
a.C., e poi forse connettersi ad un santuario, la cui natura non è
al momento meglio precisabile, durante la Prima Età del Ferro
(900-750 a.C.). In questa fase storica l’interesse delle comunità
nuragiche per le spiagge e la loro frequentazione è testimoniato
anche dal ritrovamento di un curioso monumentino ovale con pozzetto
sulla spiaggia di Sa Rocca Tunda, scavato nei primi anni ‘80 e
pubblicato da Alfonso Stiglitz nel 1984.
Dopo
questo periodo, un lungo silenzio cala sulla documentazione
archeologica fino alla comparsa delle prime fattorie rurali che
occupano l’area nel IV-III sec. a.C., quando ormai ci troviamo di
fronte ad una cultura materiale profondamente mutata e in linea con
quella della sfera di influenza punica prima e romana poi.
Le comunità della regione, formate dai discendenti di quegli stessi che vi avevano costruito i nuraghi, usavano a quel punto oggetti nuovi e costruivano edifici in maniera differente dai loro antenati poiché adeguata al nuovo flusso culturale dominante, più o meno allo stesso modo in cui un contadino campidanese oggi va in giro con jeans e maglietta con la scritta I love New York pur non essendo americano, mentre centocinquanta anni fa quello stesso contadino avrebbe usato un costume decisamente più tradizionale.
Le comunità della regione, formate dai discendenti di quegli stessi che vi avevano costruito i nuraghi, usavano a quel punto oggetti nuovi e costruivano edifici in maniera differente dai loro antenati poiché adeguata al nuovo flusso culturale dominante, più o meno allo stesso modo in cui un contadino campidanese oggi va in giro con jeans e maglietta con la scritta I love New York pur non essendo americano, mentre centocinquanta anni fa quello stesso contadino avrebbe usato un costume decisamente più tradizionale.
Su
Pallosu: lo scavo e i reperti
Nell’area
di Su Pallosu, e precisamente proprio sulla spiaggia davanti alla
Colonia Felina, è stato recentemente individuato un sito
preistorico, oggetto di due interventi di emergenza effettuati nel
novembre 2006 e alla fine dell’ottobre 2007 in seguito alla
comparsa in un punto della spiaggia davanti alla Colonia di ceramica
di età nuragica.
I materiali ceramici provenienti da questi scavi
sono stati studiati e pubblicati in vari contributi, e sono
attualmente custoditi nel Museo Civico di San Vero Milis in fase di
prossima inaugurazione.L'area
scavata era di circa 24 mq. Al di sotto del livello di sabbia
superficiale erano presenti alcuni livelli contenenti materiali misti
di età nuragica e romana molto frammentati; al di sotto di questi
era presente il vero e proprio “contenitore” del deposito, uno
strato limoso bruno scuro ricco di materiale organico che giace al di
sopra di un'argilla grigia quasi pura. L'analisi delle conchiglie
rinvenute in questo livello, effettuata dal Dr Alberto Girod del
Laboratorio di Malacologia applicata di Milano, ha rivelato la
presenza di una maggioranza di specie tipiche di un ambiente
retrodunario, il che ci permette di affermare che la distanza dal
mare doveva essere nel periodo a cui è databile questo strato (circa
1400-1300 a.C.) ben maggiore di quella odierna.Lo
scavo ha restituito una quantità veramente grande di frammenti
ceramici: il numero parziale di vasi differenti finora identificati è
pari a 338, tutti provenienti da un’area di pochi metri quadrati.
Erano presenti molti tipi di recipienti, tutti molto frammentati, ma
il tipo più diffuso e meno frammentato di tutti è costituito da
piccoli vasetti a colletto con 2-4 anse e con coperchio. Si pensa che
i vasi di questo tipo attualmente in esposizione all’Antiquarium
Arborense di Oristano provengano da parti del sito scavate
illegalmente in passato. Allo studio di questi reperti ceramici si va
poi a sommare una quantità di altri frammenti raccolti durante le
ricognizioni del Capo Mannu Project attualmente in corso.
Su Pallosu, foto dagli scavi del 2012. |
La
storia del sito di Su Pallosu
Lo
studio crono-tipologico dei materiali ceramici attraverso la
comparazione delle forme e lo studio tecnologico ci parlano di una
frequentazione di lunghissima durata del sito, dalla fase cosiddetta
del Bronzo Antico (2200-1800 A.C.) al 750 a.C. circa. Nel corso di
questo lunghissimo periodo di tempo la zona fu utilizzata di volta in
volta in modi differenti dalle comunità che in essa trascorrevano la
loro vita quotidiana.
Prima
del 1600 a.C. l’interpretazione dei pochi reperti raccolti è
difficile, e potrebbe anche essere riferibile alla presenza di
qualche tomba oggi scomparsa. Questo è un periodo in cui le comunità
dell’isola sono molto mobili, la ceramica è di norma di fattura
molto rozza e affrettata, le tombe sono quasi le uniche prove che
possediamo dell’esistenza di queste comunità nella fase così
detta di Bonnannaro.
Successivamente,
tra il 1600 e 1450 a.C., numerosi frammenti di grosse giare e tegami
testimoniano il sorgere nella zona di un insediamento stabile, forse
connesso con attività di scambio via mare che si andavano
moltiplicando in questo periodo, esattamente come quello di Su Murru
Mannu nel sito dove poi sarebbe sorta Tharros sul promontorio di Capo
San Marco, una trentina di km più a sud.
Tra
il 1450 e il 1200 a.C., il sito o parte di esso sembra acquistare un
valore particolare legato a una specifica ritualità di deposizione
di recipienti ceramici, in particolare le ollette con i coperchi di
cui parlavamo prima. Non è totalmente da escludersi la possibilità
che queste piccole olle fossero utilizzate nella produzione di
particolari prodotti ottenuti dalla preparazione di certi tipi di
pesce e che quindi il deposito fosse legato più ad attività di tipo
produttivo anziché cultuale.
Durante
i secoli successivi però appare sempre più evidente che il sito si
lega ad una qualche forma di ritualità, rappresentata dalla scoperta
di un deposito di coppette su alto piede con decorazione geometrica
provenienti da un punto “a una cinquantina di metri a NO dell’hotel
Su Pallosu” e consegnate all’Antiquarium Arborense nel 1978.
Queste coppette sono pressoché uniche nell’isola, e in alcuni casi
ricordano le rappresentazioni di nuraghe alquanto comuni in questa
fase storica. Esse sono databili, secondo lo studio di Paola Falchi,
al periodo compreso tra 850 e 750 a.C.
Sfortunatamente,
l’assenza di un vero e proprio “contesto” archeologico
impedisce di comprendere l’effettiva natura di questo ritrovamento
così importante, e ne sminuisce irrimediabilmente il valore
archeologico. È chiaro che la località di Su Pallosu ha rivestito
un ruolo fondamentale nella storia delle comunità preistoriche di
quest’area, che grazie alla sua posizione è stata da sempre
crocevia di beni, persone, culture, idee, conoscenze e identità. Per
questo motivo è in programma un imminente ripresa degli scavi e
valorizzazione del sito nell’ambito di un progetto culturale che
riguarda l’intero Comune di San Vero Milis e che comprende la
prossima apertura del Museo Civico, nel quale i materiali del sito di
Su Pallosu avranno uno spazio molto importante.
Testo dell'Archeologo
Giandaniele Castangia
Documentazione fotografica
Scavi Archeologici di Su Pallosu, Spiaggia e Colonia felina qui
Documentazione fotografica
Scavi Archeologici di Su Pallosu, Spiaggia e Colonia felina qui
Si
può firmare sino a novembre per Su Pallosu Luogo del Cuore, sia on line al sito del
FAI http://iluoghidelcuore.it/classifica
sia (per
chi ha difficoltà o non usa internet, anziani ecc) nei centri di
raccolta firme:
ad
Oristano, in via Bellini 11, Il Museo dello Scarabeo Sacro
presso la libreia EPDO;
a Su
Pallosu, in via Ziu Triagus 12, al Centro Visite Guidate Gratuite
Colonia Felina.
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