venerdì 16 marzo 2018

Is baraccas de Su Pallosu, quando il borgo marino era un luogo magico ...foto inedite


di Gilberto Linzas

La presenza delle capanne di falasco a Su Pallosu, come in molte altre spiagge e località del Sinis (vedi ad esempio Su Siccu, San Giovanni di Sinis, Mari Mottu, Is Aruttas, Su Portu e Suedda, Putzu Idu), ha origine certamente antichissima ma la loro costruzione ha avuto un notevole sviluppo nel secolo scorso a partire dagli anni 50.
Alle prime “baraccas” di pescatori, utilizzate anche come ricovero di attrezzi, si aggiungono nel corso degli anni numerose capanne, casotti in legno e piccole abitazioni in muratura fatte realizzare principalmente da Riolesi, Baratilesi ed Oristanesi (ma anche proprietari provenienti da altri paesi della provincia) allo scopo di trascorrere al mare un lungo periodo di permanenza durante le ferie estive.


Le massima concentrazione di capanne si raggiunge negli anni 70; queste, costruite quasi tutte in area demaniale, erano non meno di due-trecento disposte su più file, non sempre perfettamente allineate e si estendevano dalla vecchia Tonnara (la prima “baracca” apparteneva a Tziu Davìdi Atzori di Riola) fino a tutta la spiaggia di “Sa Marigosa”, zona denominata anche “is pallas manias” per la presenza di enormi banchi di posidonia spiaggiata dalle mareggiate.
Le “barraccas” tradizionali erano dei manufatti costruiti da abilissimi artigiani (oramai rimangono pochissimi anziani superstiti), la cui struttura portante veniva realizzata con pali di legno e rinforzata con altri pali di sostegno, sui quali si fissavano i reticoli di canne che servivano da supporto per il successivo rivestimento con il falasco (erba palustre conosciuta anche come “cruccuri” o, in riolese, “sa saùra”).

Foto di Marinella Pusceddu (utente Flickr Fiammetta53)Lo spazio interno delle capanne, con un pavimento fatto generalmente di cemento, era suddiviso in una zona-giorno, subito all’ingresso, destinata alla cucina e alla vita in comune e una zona-notte, nel retro, con una o due camerette di pochi metri quadri, separate da pareti di legno oppure di canne e con delle tendine all’ingresso. Esternamente, la maggior parte delle capanne, disponeva di una tettoia sul davanti ed un cortiletto sul retro con recinzione in canne, dove era posizionato un piccolo bagno con pareti in legno. Non essendo fornite di energia elettrica, per l’illuminazione notturna si utilizzavano inizialmente le lampade a carburo - “sa zentillena” - e, successivamente, le più moderne lampade a gas.
All’interno delle capanne, pur con qualche problema di spazio per le famiglie più numerose (35-40 mq), ci si viveva abbastanza bene: queste erano molto fresche nelle giornate più calde e mantenevano una temperatura costante.


La vita del villaggio di capanne di Su Pallosu, nelle lunghe estati degli anni ‘60 e ’70, era festosa e gioiosa. Molte famiglie, già alla chiusura delle scuole, si trasferivano al mare per trascorrervi anche due-tre mesi di vacanza; si creava una nuova vita comunitaria, con la nascita di nuove amicizie e rapporti di vicinato. Nelle lunghe giornate assolate (ma anche la sera, dopo cena) i momenti di incontro e di svago erano numerosi; seduti sotto le tettoie “a su friscu” ci si intratteneva in lunghe conversazioni oppure si giocava a carte; il vino, la vernaccia ed i dolci non mancavano mai.


Si organizzavano serate musicali e di ballo con suonatori locali, tra le capanne oppure nell’ampio spazio della salina che in estate era prosciugata (ma ricordo anche una serata a ferragosto nel cortile dell’hotel Su Pallosu).
Il pane ed alcuni viveri di prima necessità si acquistavano tutti i giorni nel negozietto di Signora Irene, mentre per l’approvvigionamento d’acqua ci si recava in paese due tre volte alla settimana.
Nel villaggio tra le capanne e nelle spiagge, vi erano sempre torme di ragazzini con la pelle scurissima, bruciata dal sole, che giocavano a “nascondino” o facevano il bagno.
 Si stava in acqua per delle ore, facendo un intervallo soltanto per asciugarsi e mangiare un panino oppure per andare a prendere un gelato da Tziu Maureddu al bar dell’Hotel (ziu Maureddu, già in età avanzata, nei primi anni ‘70 stava sempre seduto fuori nella veranda dell’hotel, fumando il suo mezzo toscano). Spesso si andava a pescare nelle zone rocciose (is arroccas) nei pressi delle cosiddette “piscine”; qui, nelle pozze d’acqua tra le rocce, si pescavano pesciolini - ghiozzi (mazzonis), bavose e roccaletti - utilizzando una piccola lenza legata all’estremità di un pezzo di fil di ferro grosso, lungo circa 50-60 centimetri.
Al termine della pesca non mancava mai un bagno nelle piscinette piccole (di Punta Tonnara) e, per i più grandicelli, nella piscina grande - profonda circa due metri - con numerosi tuffi da una roccia che fungeva da trampolino.
 
Tra gli altri divertimenti dei ragazzini, vi erano le discese a pancia in giù nei ripidi pendii sabbiosi di fronte alle ville Espis e Puddu, i giochi tra le cosiddette “pallas manias”, le interminabili partitelle di calcio in spiaggia oppure nella salina, le gare di corsa o di salto. Insomma, per i ragazzi, Su Pallosu era un paradiso, un luogo magico dove non esisteva il tempo e tutto era divertimento.Le prime demolizioni delle abitazioni abusive di Su Pallosu (soprattutto di quelle in muratura e dei casotti) vennero effettuate nel 73-74. Contestualmente, un certo numero di capanne in falasco vennero messe sotto sequestro ed i proprietari denunciati per gli abusi realizzati; il dissequestro, avvenne a seguito di ricorso nell’agosto del 74, con affidamento dei manufatti in custodia giudiziaria agli stessi proprietari.
Il leggendario Giovannino La Murena, a lui dedicheremo interamente uno dei nostri  prossimi articoli con altre foto inedite
Negli anni seguenti vi fu una ripresa in grande stile delle costruzioni che raggiunsero la massima concentrazione a fine anni ’70.
Nel 1980, dopo alcuni anni di lungaggini burocratiche, di ricorsi e incertezze amministrative, pur riconoscendo la valenza culturale dei manufatti e il perfetto inserimento nel paesaggio, venne emanata l’ordinanza di demolizione dal Comune di San Vero Milis, eseguita con grandi difficoltà per l’opposizione dei proprietari tra il 22 e il 24 settembre.
Soltanto alcune capanne di falasco caratteristiche vennero risparmiate, con l’intento (rimasto poi tale) dell’amministrazione Comunale di utilizzarle per ospitare servizi pubblici (uffici turistici, servizi igienici, ecc.); buona parte di queste capanne tuttavia negli stessi giorni furono rase al suolo dal fuoco; quasi certamente gli incendi furono di natura dolosa.

Si chiudeva così, nel modo più drastico, un epoca, quella del villaggio di Su Pallosu e delle caratteristiche “barraccas”. La bonifica integrale dei luoghi, peraltro, a vent’anni di distanza non è ancora stata realizzata, tanto che in alcuni tratti di spiagge e nell’acqua (a seguito dell’avanzata del mare per l’erosione) sono tuttora presenti materiali residui delle demolizioni (blocchetti, tubi di cemento, ecc.).
Le pochissime capanne rimaste a Su Pallosu, sono durate fino a metà degli anni ’90, finchè non è stata emanata una nuova ordinanza di demolizione e sono state abbattute.

1 commento:

  1. che belle immagini,di posti che mi hanno regalato nella mia infanzia,giornate cariche di sogni e di voglia di vivere,di conoscere e di ascoltare i racconti di chi quel mare l'ha sempre amato...

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